“Una villa di difficile interpretazione ma in odore di
santità”
A distanza di due mesi, nessuna
risposta!
Era per l’esattezza il 19 marzo
2014, quando il Comitato di Difesa del Territorio dei Colli Prenestini e
Castelli Romani, ha inoltrato al Ministero dei Beni Culturali ed ai reparti
speciali della Guardia di Finanza un esposto per denunciare lo stato di
abbandono nel quale versa l’area dove sono stati rinvenuti i resti di una
importante Villa attribuita a Cesare e Massenzio.
(Qui l’ esposto: http://comitatodifesaterritoriale.blogspot.it/2014/05/esposto-villa-di-cesare-e-massenzio.html )
(Qui l’ esposto: http://comitatodifesaterritoriale.blogspot.it/2014/05/esposto-villa-di-cesare-e-massenzio.html )
Malgrado l’esplicita richiesta di
ricevere informazioni sulle iniziative intraprese, ad oggi non vi è alcuna
risposta; eppure, la frase “Una villa di difficile interpretazione ma in odore
di santità” con in cui il Prof. Federico Guidobaldi (Presidente della AISCOM e Professore emerito
del Pontificio Istituto di archeologia Cristiana) ha definito la “Villa di
Cesare e Massenzio” in occasione del “XX° Colloquio della AISCOM” (Associazione
Italiana per lo studio e la conservazione del mosaico) la dice lunga
sull’importanza di questo ritrovamento.
I resti di questo importante sito archeologico sono stati
rinvenuti nel 2010 a San Cesareo, a sud
est di Roma, in occasione dei saggi archeologici preventivi alla realizzazione
di un piano integrato di edilizia residenziale (denominato “La petrara”) e
legata ad un moderno edificio di culto.
Il convegno, organizzato dalla AISCOM in collaborazione con
l’AIEMA (l’ Associazione Internazionale
per lo studio dei Mosaici), alla quale
aderiscono studiosi provenienti da Francia, Inghilterra, Spagna, Tunisia e Nord
America, si è tenuto a Roma presso Palazzo Massimo, sede del Museo Nazionale
Romano, dal 19 al 22 marzo scorso.
La Villa Imperiale di San Cesareo con i suoi mosaici, è
stata illustrata dal Dott. Alessandro Betori (Funzionario Responsabile di zona
della Sovrintendenza Archeologica per Lazio) il quale precedeva il suo
intervento chiedendo al prestigioso consesso accademico presente un aiuto per
l’interpretazione dei mosaici della Villa che si accingeva a mostrare.
La relazione del Dott. Betori in
effetti, sebbene puntuale dal punto di vista tecnico, è sembrata voler sminuire
l’importanza dei mosaici e della Villa nel suo insieme.
Diversamente, gli studiosi presenti hanno dimostrato ampio
interesse nei confronti dei mosaici della Villa rinvenendone caratteristiche inedite
e, nel sottolinearne l’importanza ed in qualche caso l’unicità, ne hanno
auspicato la salvaguardia ed un imminente progetto di restauro.
Tra i tanti sono intervenuti: il Prof. Henri LAVAGNE della
Accademie des inscriptions et Belles-lettres di Parigi e la Prof.ssa Catherine
BALMELLE (President della AIEMA Association Internazionale pour L’Etude de la
Mosaique Antique).
Il sito ove oggi sorge San Cesareo era conosciuto con il
nome di “Ad Statuas” ed era un importante snodo stradale a sud est di Roma
lungo il tracciato dell’antica Via Labicana. Da qui infatti si diramavano i diverticoli che
conducevano a Praenenste (odierna Palestrina), a Gabi, al Tuscolo ed al Monte
Algido unendo così la Via Labicana alla Via Prenestina, Tiburtina e Latina.
L’ importanza della località “Ad Status” è rappresentata
nella “Tabula Peutingeriana”, una delle più famose mappe geografiche dell’
Impero Romano.
In questo luogo Giulio Cesare costruì una delle sue ville di
campagna, conosciuta come “Labicanum Caesaris”. In questa Villa il dittatore
romano scrisse, alle idi di settembre del 45 a.C., il suo testamento con il quale nominò suo erede
il pronipote Caio Ottavio, il futuro
Imperatore Augusto.
E’ per questo motivo che Valerio Massenzio ristrutturò
questa residenza imperiale, circa 350 anni dopo, e qui, il 28 0ttobre del
306.d.C, fu nominato Imperatore dal
popolo di Roma.
I recenti ritrovamenti hanno permesso di individuare solo
una parte della Villa per una estensione di circa
10.000 mq. Tra questi, oltre ad uno splendido ninfeo-cisterna, della capacità
di 30.000 mc. e decorato da venti nicchioni, risalta un impianto termale
dell’estensione di 600 mq. immediatamente a sud del tracciato della Via
Labicana.
La parte residenziale della Villa, rinvenuta nell’area meridionale
dello scavo, mostra una stratificazione risalente ad un periodo che va dal I°
sec. a.C. (epoca di Giulio Cesare) fino
al IV° sec. d.C.
In questa area si sono rinvenuti una serie di pavimenti a
mosaico di notevole pregio, sia in bianco e nero che policromi.
Ancora nel 2013, a nord dei resti della Villa, in occasione
di ulteriori saggi preventivi a seguito della espansione del Piano Integrato si
è rinvenuto il tracciato integro della Via Labicana per oltre 200 metri e circa
150 tombe di varie epoche, alcune con notevole corredo.
Nell’ambito del convegno, ha
destato scalpore l’intervento di un membro del Comitato di Difesa del
Territorio dei Colli Prenestini e
Castelli Romani che ha evidenziato lo stato di abbandono degli scavi presso i
quali insiste di fatto il cantiere edile della ditta che con ogni mezzo sta
cercando di portare avanti una speculazione edilizia, immediatamente a ridosso
del ritrovamento, che prevede la realizzazione di una chiesa e diverse
abitazioni.
Tale intervento, nell’ambito di un simile convegno non ha
lasciato sicuramente indifferenti e il Dott. Betori, invece di accogliere
l’interesse per un bene archeologico di tale rilevanza ed adoperarsi per il
coinvolgimento degli studiosi presenti in un progetto internazionale di recupero
e valorizzazione, si è affannato ad interrompere più volte l’intervento di
denuncia malgrado, come da lui successivamente dichiarato, fosse perfettamente
a conoscenza dello stato di abbandono dell’area.
Lascia peraltro perplesso il fatto che lo stesso Dott.
Betori fosse a conoscenza della coesistenza del cantiere edile nella stessa
area degli scavi.
Ci si chiede come mai la Sovrintendenza non abbia posto un
vincolo indiretto all’area affinché si
aumenti la distanza da eventuali fabbricati che ne comprometterebbero una
adeguata fruibilità visiva.
Insomma, anche questo sembra essere un altro caso
all’italiana, dove l’interesse privato rischia di prendere il sopravvento sulla
tutela e la valorizzazione di un bene culturale e pubblico in un contesto in
cui i resti di questa Villa vengono ad arricchire l’enorme potenziale economico
e turistico dell’intera area ove
risultano già presenti il Tempio della Dea Fortuna di Palestrina, le splendide
Ville di Tivoli e l’antica città di Gabi.
Inoltre, con il recente restauro del mausoleo di Tor
Pignattara e delle splendide catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, in quella
zona della Villa Imperiale chiamata “Ad duos Lauros”, si potrebbe creare lungo
l’attuale Via Casilina (erede dell’antica Via Labicana), un percorso storico ed
archeologico che partendo dal “Sessorium” (Complesso Imperiale di Santa Croce
in Gerusalemme) e passando per Tor Pignattara
e per San Cesareo giunga fino alla Villa Magna di Anagni, legando così le varie
parti del possesso Imperiale Labicano.
Malgrado
tutte le difficoltà logistiche ed economiche che può comportare il recupero e
la valorizzazione di simile patrimonio è amaro constatare l’assenza di risposta
da parte di chi è chiamato a tutelare il patrimonio pubblico; azione che
costringerà il Comitato stesso a valutare la possibilità di richiedere alla
Corte dei Conti la verifica dell’eventuale danno erariale derivante dalla
mancata conservazione del bene.
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